<$BlogRSDURL$>

domenica, febbraio 22

Una storia di mobbing 

Nicoletta Braschi Il film di Francesca Comencini, Mi piace lavorare, io l'ho trovato molto bello.
E' molto bello l'argomento che tratta.
E' molto bella l'atmosfera che crea, e ciò che trasmette. Io ho vissuto per tutta la durata della proiezione in uno stato d'ansia, quella che sullo schermo viveva Anna: l'ansia di essere spiata e perseguitata, della solitudine, della frustrazione, della vita che non si riesce a riprendere in mano.
Anna vive una storia di mobbing, la vive sul luogo di lavoro, la riporta a casa, dove si deve occupare della figlia, del padre e delle faccende quotidiane. La vive in solitudine, la vive fino a rimanerne schiacciata, a starne malissimo. Fino a che non riesce a reagire, a farsi aiutare.
E' una cosa terribile quella che succede ad Anna: è terribile pensare che davvero queste cose esistono. Che in nome della produzione, del guadagno, non si guardano più in faccia i diritti della persona, i suoi affetti. Che in nome di un impiego, del mantenimento del posto di lavoro, si annullino i rapporti umani tra colleghi, la solidarietà, la compassione.
Il film che abbiamo visto ieri sera rende tutto questo in un modo diretto e brutale, facendocelo vedere dal punto di vista della "vittima", facendocelo "provare".
Ci sarebbero delle piccole cose, forse, cose "tecniche" poco convincenti, in questo film. Alcune battute, alcune caratterizzazioni. Forse. Ma non sono importanti per me. Perché questo film, ripeto, mi ha veramente messo ansia, mi ha fatto veramente stare male. E perciò l'ho trovato bellissimo.

Una sola nota un po' "frivola" (leggasi pure "scema"): ma è possibile che la figlia, Morgana (ma non sarà che il papà della bimba è scappato dopo che Anna ha imposto di chiamare la figlia Morgana?), ci metta tutto il film (passarà un mese?) a leggere Il piccolo principe (libro bellissimo, comunque)?