<$BlogRSDURL$>

domenica, marzo 5

Capote 

Il film di Bennett Miller non racconta la biografia, che pur sarebbe stata interessantissima, dello scrittore Truman Capote, ma la molto più interessante genesi del romanzo-verità A sangue freddo.
Dal momento in cui Truman ritaglia l'articolo di giornale che riporta la notizia dell'uccisione dei Cutters, al viaggio in Kansas insieme alla Harper Lee, fino all'incontro con i due assassini, l'amicizia con Perry, il romanzo che comincia a prender forma... Tutto il percorso viene descritto tenendo l'attenzione fissa sullo scrittore, sulla sua esuberante e anticonvenzionale personalità, sulle sue ombre e sui terribili conflitti interiori, la fedeltà alla sua arte che nel finale arriva a "devastarlo".
Il racconto è condotto per mezzo di accuratamente scelti momenti salienti: si passa da una panoramica dell'ozioso paesino del Kansas a un'aula di tribunale, dalla claustrofobica cella di Perry all'assolata Costa Brava, con incursioni nello scintillante mondo del jet set newyorkese, di cui Truman è star incontrastata. E i cambi di ambientazione funzionano bene per evidenziare le diverse facce della stessa America, quella moderna e intellettuale da una parte e quella borghese e benpensante dall'altra, quella sana e laboriosa e quella "malata", "storta", terribile, di cui ci si vorrebbe dimenticare. Proprio quest'ultima affascina tanto Capote, da volerla al centro del suo libro: la faccia del mostro, di Perry Smith, che appare a noi, come a Truman, agghiacciantemente umana e molto più simile a noi di quanto ci possa sembrare sopportabile, così come dice il protagonista nel film: "è come se io e Perry fossimo cresciuti nella stessa casa, e un giorno lui è uscito dalla porta sul retro e io da quella davanti".
Tutto nel film è perfetto e ci rende un perfetto e maestoso ritratto, di un artista e di una società.