<$BlogRSDURL$>

domenica, aprile 9

Inside Man 

Il canovaccio del nuovo film di Spike Lee è uguale a mille altri thriller d'azione su rapine in banca e incontri/scontri tra ladri e poliziotti, ma è il "come" che fa la differenza, come sempre è per il regista newyorkese e per i grandi in generale, d'altronde.
La storia è appassionante e fa restare col fiato sospeso: sempre concitata, ricca di colpi di scena, di tantissimi personaggi interessanti. E infarcita delle tematiche tipiche del cinema di Lee: l'opposizione tra bene e male, le implicazioni del vivere in una società multietnica, New York.
La divisione tra il bene e il male non è netta, così come l'ambientazione non è perfettamente divisa tra l'interno della banca e il fuori, ma ci sono continue intrusioni, così i "cattivi" sono sia dentro che fuori, e si mischiano: emblematica a questo proprosito la scelta di far mascherare gli ostaggi allo stesso modo dei rapinatori.
Lo stesso scopo della rapina comincia a diventare, mano a mano che passa il tempo, più strano e sfumato: come dice Clive Owen nel monologo iniziale, i soldi sono il "perché", ma si capisce presto che non ci sono solo quelli in ballo, ma che c'è anche un segreto molto grave da preservare.
E alla fine da quello che sembrava un canovaccio semplice e scontato esce un film davvero davvero bello, girato in modo perfetto, con un'alternanza tra riprese frenetiche e campi lunghi, il buoio che sfuma i dettagli, i primissimi piani su persone e oggetti. Gli attori sono bravissimi, ma d'altra parte il cast era davvero di primissima scelta: Washington credibile, Owen come al solito molto "fisico", la Foster di una viscidezza affascinantissima nella sua contorta parte di mediatrice d'affari poco puliti.
Inquadratura e battuta finale da manuale.
Segnalo inoltre le numerose pubblicità occulte a gioiellini di ultima tecnologia presenti ovunque, a sottolineare il periodo storico in cui ci troviamo, e un certo materialismo che aleggia su tutto il film.
Da non perdere.